In famiglia avrebbero voluto che seguisse le orme del nonno, il grande letterato Ettore Paratore, ma Renato ha preferito le vaste distese verdi di fairway e green. Miglior italiano del Rocco Forte Open, in Sicilia aveva al suo fianco la mamma e la fidanzata
Suo nonno Ettore Paratore, uomo di immensa cultura, è stato un grande latinista e tutto portava a pensare che il piccolo Renato sarebbe rimasto attratto inevitabilmente da libri e studi di alto livello. “In effetti – racconta il 20enne golfista romano – c’era una certa aspettativa in famiglia che io prendessi quella strada. Anzi mio padre non voleva che io giocassi a golf ed è stato contrario fino a poco tempo addietro. Ha cominciato ad ammorbidire la sua posizione quando sono entrato nell’European Tour. Io ho ammirato mio nonno per quello che è stato e che ha fatto, ma non ho mai pensato di seguirne le orme”. Così niente studi approfonditi, stanze piene di libri o biblioteche da frequentare, in cambio le sensazioni uniche che sanno dare le immense distese verdi dei campi da golf. Ormai una certezza del golf italiano, ha dato una nuova prova delle sue grandi qualità nel Rocco Forte Open-Verdura, Sicily, dove è stato in corsa con i primi fino alle ultime battute.
“E’ stata una prova positiva – racconta – perché non è mai facile nell’European Tour iniziare al 116° posto e poi risalire fino al 23°. Può lasciare qualche rammarico il rendimento nella parte finale l’ultimo giro, ma in realtà sono pienamente soddisfatto”.
IO E LA RYDER CUP – Prima dell’inizio del torneo hai partecipato a “La Ryder Cup nella Valle dei Templi” e hai potuto prendere tra le mani il trofeo originale. Cosa hai provato?
“Una forte emozione. Uno dei miei obiettivi è quello di poter giocare la Ryder Cup nel 2022. Per ora è un sogno, ma ho davanti il tempo necessario per farlo divenire una realtà. Sarebbe pazzesco difendere i colori europei nella mia città e addirittura a venti minuti di distanza da casa mia”.
– Cosa significa per l’Italia ospitare la Ryder Cup 2022?
“Intanto è un grande evento che richiamerà una forte attenzione sul nostro movimento. Inoltre saranno importanti tutte quelle attività collaterali che si svolgeranno durante i sei anni di avvicinamento, tese a far aumentare i numeri del golf. Sono state già promosse iniziative adeguate per sollecitare l’attenzione dei neofiti, per interessare gli studenti e altro. Però credo che sia fondamentare puntare sulla creazione di campi pubblici, non necessariamente da campionato”.
DISTRAZIONE FATALE – Dopo 54 buche del Rocco Forte Open, Verdura – Sicily eri terzo, anche se un po’ lontano dal leader. Pensieri fino a quando sei salito sul tee?
“Nessuno in particolare. Ero tranquillo perché stavo giocando molto bene. Inoltre in una giornata ventosa occorre essere concentrati ancor di più del solito e liberare la mente da tutto. Non ho pensato agli altri, ma solo di andare in campo e dare il meglio”.
– Nove buche ottime, poi…
“Purtroppo mi sono distratto un po’ nelle tre successive. Ho sbagliato un putt corto, poi ho preso tre putt e infine ho mancato un birdie in un par cinque facile. Quegli errori mi hanno condizionato e hanno cambiato l’andamento della gara”.
– Cosa salvi di questa trasferta siciliana e cosa cancelli?
“Salvo quasi tutto, perché un 23° posto sul tour è sempre un risultato apprezzabile e quindi da accettare senza riserve. Cancello ovviamente quelle tre buche che non mi hanno permesso di arrivare tra i primi quattro”.
IL MIO STILE DI GIOCO – Sul campo appari come un giocatore tranquillo, che non si lascia andare. E’ la realtà o riesci a mascherare l’attimo difficile?
“E’ la mia indole, non perdo quasi mai la testa per un errore, mantengo la calma e cerco di salvaguardare la concentrazione. Però debbo confessarlo: domenica dopo lo sbaglio alla buca 11 proprio non ce l’ho fatta a rimanere impassibile”.
– Hai innata la mentalità vincente, ma che cosa ti manca a questo punto per importi in un torneo?
“Non riesco ancora a finalizzare il giro quando è decisivo. Mi è accaduto in Sicilia, ma soprattutto in Marocco dove le condizioni per puntare al successo erano più favorevoli. In entrambe le occasioni a un gioco all’altezza non ha corrisposto il responso numerico che avrebbe dovuto produrre. Mi sono perso con piccole sbavature che nell’ultimo turno sono deleterie. Quindi debbo focalizzare la mia attenzione su quegli errori, capire perché accadono e come evitarli. Sicuramente con il gioco ci siamo”.
– Hai il rimedio?
“Ancor più concentrazione, pensare a un colpo per volta e a una buca per volta. E se anche il gioco è quello giusto, non bisogna mai fermarsi nel cercare di migliorarlo”.
– Quando sei entrato nel circuito ti emozionavi nell’affrontare i campioni che avevi visto solo in TV…
“All’inizio le mie emozioni andavano di pari passo con il gioco. Non potevo arrivare subito ai massimi livelli, ma mi comportavo come se ne fossi all’altezza e con la testa puntavo in alto, ben sapendo dentro di me che avevo ancora parecchio da imparare. Così i campioni rimanevano lontani. Poi con il crescere dell’esperienza e della qualità delle mie prestazioni sono arrivato alla conclusione che ora posso competere con tutti senza timori reverenziali”
– La spensieratezza iniziale è rimasta o magari è limitata da qualche responsabilità in più?
“Scendo in campo ancora spensierato e mi diverto, soprattutto adesso che il gioco mi assiste. Certo qualcosa sta cambiando, però non è un peso perché in fondo quando ti senti investito di responsabilità vuol dire che qualcuno si attende da te cose sempre migliori, ma che evidentemente sei in grado di fare”.
L’ORO OLIMPICO Hai avuto una grande carriera di dilettante culminata con l’oro olimpico ai Giochi giovanili. Che cosa ti ha detto quella medaglia?
“Non mi aspettavo che salire su quel podio procurasse così tanta emozione. E’ stato qualcosa di unico e di fantastico che rimarrà indelebile nella mia mente. Come giocatore i due birdie finali, che mi hanno dato il titolo, e lo score basso mi hanno fatto prendere coscienza di avere delle potenzialità di cui ancora non avevo il sospetto”.
I MIEI IDOLI – I campioni a cui fai riferimento sono sempre Tiger Woods e Rory McIlroy?
“Si, sono loro. Sia da Tiger, finché ha giocato, sia da Rory ho cercato di carpire i segreti del loro comportamento in campo, di come si muovono e di come gestiscono ogni situazione al meglio”.
FAMIGLIA E HOBBIES – La professione del tournament player cambia anche la vita con la famiglia, fatta di parecchia lontananza. Al Verdura Resort, però, hai avuto il supporto della mamma e della tua fidanzata Jessica. Una serata con loro e a un 71 ha corrisposto subito dopo un 62.
“Abbiamo trascorso momenti piacevolissimi e stare insieme a persone che ti vogliono bene aiuta in tutti i sensi. Quando i miei mi sono vicini nelle gare generalmente riesco a ottenere buoni risultati. No, non mi dicono cose particolari, ma è solo un quadro di vita familiare. Consigli per il campo mai: sono io a non volerli”.
– Sei fidanzato con Jessica: come si lega la vita sentimentale con il golf agonistico?
“In verità non sono molto compatibili. E’ una convivenza difficile in cui occorre pazienza da ambo le parti e noi fortunatamente l’abbiamo”.
– Gli amici sono rimasti gli stessi?
“Del liceo me ne sono restati pochi, perché le occasioni per incontrarli sono rare. Quelli di sempre sono praticamente i medesimi, poiché sono tutti golfisti e quanto meno ci ritroviamo sul campo d’allenamento quando sono a casa”
– Nelle poche volte che torni a Roma come passi la giornata?
“Di solito alle ore 9 sono al campo da golf per praticare. Il pomeriggio lo trascorro in palestra e la sera vado a cena fuori. Una vita ripetitiva, ma qualche volta mi prendo un giorno completamente libero”.
L’AMORE PER IL GOLF – Cosa ti intriga del golf?
“Mi piace in particolare sentire quel dolce suono della pallina che finisce in buca. Ancor di più se per un birdie. Ma mi affascina anche la sfida quotidiana con i colpi difficili, la grande soddisfazione che procura mettere a segno un approccio o un putt lungo e, più in generale, il mistero che sembra avvolgere ogni buca, dove non sai mai dove si va a parare”.
– Tu giocavi anche a tennis e bene. Perché poi ha scelto il golf?
“Francamente non ricordo i motivi. Di sicuro il golf mi piaceva di più, era più coinvolgente e poi la continua sfida con te stesso è più stimolante che affrontare necessariamente un altro come nel tennis”.
– Cosa diresti a un ragazzo per convincerlo a giocare a golf?
“Di provare perché è uno sport che ha la prerogativa di essere fortemente coinvolgente, che puoi scegliere di praticarlo da solo o farlo divenire un momento di aggregazione con gli amici, che ti consente il contatto diretto con la natura e che si gioca sempre in località molto belle. E a quelli più bravi consiglio l’esperienza del tour”.
(Nella foto: Renato Paratore nel corso di “La Ryder Cup nella Valle dei Templi”, Getty Images)